Comunicazioni Gennaio 2023

AR 2022/2023                                                             Newsletter n. 17

  • Chi ben comincia…

 

Il racconto del prof. Giuseppe Benelli sulle antiche tradizioni pontremolesi inaugura le conviviali del nuovo anno.

Usciti quasi indenni dall’attacco ai fianchi perpetrato come ogni anno da cotechini, panettoni, pandori e spongate annaffiati da adeguate quantità di bollicine, è ormai ora di riprendere la penna, pardon la tastiera, e ricomporci da dove ci eravamo lasciati, sinceramente speranzosi, anche qui come ogni anno, che i nuovi mesi a venire siano forieri di pace, serenità e tante buone azioni da compiere.

La conviviale del 13 gennaio che ha aperto il secondo semestre della presidenza di Gianni Tarantola si è tenuta “extra moenia” nella suggestiva e accogliente Villa Brignole di Gavedo di Mulazzo, presenti come ospiti il sindaco Claudio Novoa e signora: tema della serata “Riti e tradizioni natalizie in Lunigiana” affidato al prof. Giuseppe Benelli, socio onorario del Club.

Con la ben conosciuta abilità oratoria, l’ospite ha introdotto la serata con una breve storia dell’Oratorio di Sant’Ilario, piccolo tempietto (tra i meno conosciuti) posto sul colle del Piagnaro poco al di sotto del Castello di Pontremoli, al bivio di due antiche strade, porta che introduceva al Borgo arrivando dalla vecchia strada del Brattello. La costruzione del piccolo oratorio dedicato alla Beata Vergine del Popolo inizia nel 1883 e termina nel 1893. Nel 1894 viene collocata nell’abside sistemata da Vitale Arrighi a modello del Duomo, la statua di Sant’Ilario da cui oggi prende il nome. Il culto di Sant’Ilario, vescovo di Poitiers, giunge a Pontremoli da Parma e la chiesetta era una struttura privata appartenente alle famiglie del Piagnaro che ne custodivano la chiave.

Successivamente, Benelli ha introdotto il tema dei falò nella tradizione pontremolese che ravvivano da secoli con le loro faville il mese di gennaio: in ordine cronologico il primo è quello di Sant’Ilario (il 13), il secondo quello di Sant’Antonio (il 17), il terzo quello di San Geminiano (il 31).

I falò, diffusi nelle comunità rurali nei primi mesi dell’anno, servivano, nella tradizione, a scacciare (bruciandole) tutte le negatività ed a propiziare buoni raccolti nell’anno appena cominciato.

Il falò di Sant’Ilario prendeva a modello i falò di Filattiera per Sant’Antonio Abate e di Villafranca per San Nicolò ed era costituito da una catasta di legna di 4/5 metri che doveva bruciare a lungo perché quello doveva essere un momento conviviale con balli, canti e bevute.


 

 

 

 

 

 

 

 


                                                      FALO’ SAN ILARIO

Gli atri due invece, fonte di rivalità tra le due parrocchie di San Nicolò e di San Geminiano, sono falò le cui pire svettano oltre i 10 metri e vengono montati su una struttura che permetta di bruciare velocemente i bochi (rami secchi di ginestra e ginepro raccolti d’estate e gelosamente conservati in luoghi segreti) così da portare via i guai dell’anno precedente; dal modo in cui le fiamme avvolgono la pira e si alzano al cielo, vi era anticamente chi era in grado di fare previsioni per l’anno nuovo.

Il falò di S. Antonio (ora S. Nicolò) prendeva il nome da S. Antonio Abate (guaritore di malattie quale il fuoco di S. Antonio e delle ossa) cui era dedicato l’ospedale allora sito nel Palazzo Biondi e adiacenze di cui restano poche tracce.

SAN GEMINIANO                                              SANT’ANTONIO ABATE

                                 

 

,                               FALO’ SAN ANTONIO

   

                                                                        FALO’ SAN GEMINIANO